Cappadocia natale 2009 – Holga power
mi perdonino i compagni di viaggio che vengono sbattuti cosi’ in prima pagina. sono sicura che non ne avranno a male…
Ora, le foto le ho scannerizzate male, sono ovviamente quadrate (120mm forever, e non tornero’ mai piu’ indietro..), pero’ l’idea un po’ la rendono: bella vignettatura semi(irr)regolare, bella saturazione, un misto di irrealta’ e iper-realismo. Funzionano una meraviglia con la vastita’ del paesaggio cappadocegno.
continua sotto con le storielle di viaggio
Dopo
un dolce capodanno istanbulegno e un dolcissimo primo dell’anno passato
a saltare su barche e barchette di pescatori tra le due sponde del
Corno d’Oro, e a bere innumerevoli chai sulla terrazza al cimitero,
lorgransignori decisero di concedersi qualche giorno di tranquillita’
nella rustica Cappadocia. Grazie alla mitezza del clima di
quell’inverno bizzarro, invece delle tempeste di neve e di temperature
montane, gli intrepidi si trovarono immersi in una frizzante atmosfera
primaverile poco normale per quella parte del mondo.
A onore di
verita’, all’arrivo nella sgarruppata cittadina di Nevsehir una
tempesta di neve era in corso, e per qualche istante essi temettero di
avere sbagliato destinazione. La citta’ appariva desolata, e i suoi
abitanti, tristi. Dopo aver visitato il forno locale ed essersi
rimpinzati a dovere, i viaggiatori si ripresero di animo e riuscirono a
trovare il minibus giusto per raggiungere la loro destinazione.
Ancorati
a nozioni romanticheggianti degne di altri tempi, essi presero
l’incauta decisione di alloggiare in una cava, decisione che si rivelo’
si dannosa per la loro salute, ma che rafforzo’ il loro (errato)
sentimento di legame con il territorio visitato.
Le giornate
precedettero lente e meditabonde. Grandi colazioni susseguivano lunghe
dormite, e interminabili passeggiate sull’altopiano, fra le cave, i
sassi, e i sassi, non fungevano che da preamboli per lunghe serate
passate a sorseggiare chai, persi nel vano tentativo di imparare il
giuoco del backgammon, tentativi che provocarono grande frustrazione
negli autoctoni, increduli davanti a tanta inettitudine.
Una
speciale vallata (raffigurata nella foto in alto a destra), provoco’ in
loro un sentimento assimilabile all’estasi mistica. Sognarono di
perdersi per sempre nelle geometrie disegnate dalle ombre e dalla luce
sulle chiese rupestri diroccate, e di non dovere mai piu’ dedicarsi a niente altro che non all’allevamento di piccioni.